Le istituzioni ebraiche

Le istituzioni ebraiche in Italia prima dell'Unità

Nella maggior parte dei territori della penisola lo strumento giuridico dell'insediamento ebraico consisteva in un "privilegio", un documento ad personam che consentiva ad un dato ebreo (medico, prestatore) di stabilirsi insieme a quanti erano legati a lui (familiari, impiegati, servitori, istitutori) nella città; una "condotta", contratto bilaterale in genere valido per 3-5 anni (talvolta 10-15) regolava minuziosamente le condizioni per la residenza degli ebrei, incluse quelle per l'esercizio del prestito (tassi, procedure, ecc.). Le condotte venivano quasi sempre rinnovate, ma il mancato rinnovo non significava automaticamente l'espulsione: semplicemente gli ebrei rimanevano senza una regolare autorizzazione, sottoposti allo ius commune piuttosto che a quello speciale definito dalle clausole della condotta; gli insediamenti più consistenti vengono definiti nei documenti pubblici, Università degli Hebrei o Nazione Ebrea.
La maggior parte della documentazione riferita a insediamenti ebraici, per questo periodo, è conservata per lo più negli archivi comunali, vescovili o di Stato. Le tracce che ci attestano la presenza e l'attività ebraiche in moltissime località sono soprattutto nelle delibere delle assemblee comunali, nelle carte delle Signorie, nei documenti giudiziari, negli Statuti e nelle carte notarili per le vicissitudini dei singoli.
Durante il periodo napoleonico l'ordinamento delle comunità ebraiche mutò sotto la spinta riorganizzatrice dell'amministrazione francese: ogni centro in cui risiedevano almeno 2.000 ebrei, doveva essere considerato un "Dipartimento" (fornito di una sinagoga, amministrata da 2 notabili e da un rabbino), con un "Concistoro" - che sostituiva il vecchio governo della Comunità - guidato da un Gran Rabbino, un altro rabbino e 3 membri laici. Nei luoghi in cui la popolazione ebraica non raggiungeva le 2.000 persone, più Università costituivano un unico "Concistoro dipartimentale", mentre a Parigi, dal 17 marzo 1808 operava il "Concistoro centrale", a capo di quelli dipartimentali.

Le istituzioni ebraiche in Italia dopo l'Unità

All'indomani dell'Unità le "Università Israelitiche"* avevano figura giuridica differente secondo le regioni. Col progressivo estendersi del regno sabaudo era stata estesa dal Piemonte e dalla Liguria all'Emilia, alle Marche e alle province di Parma e Modena la Legge Rattazzi del 4 luglio 1857 (n.2325), accompagnata da un regolamento "per l'amministrazione e contabilità delle università israelitiche" (n. 2326).
Secondo questa normativa le Università erano costituite obbligatoriamente da tutti gli ebrei residenti nella circoscrizione territoriale da almeno un anno, con potere d'imposizione fiscale, amministrate da consigli eletti dai contribuenti, sottoposte a vigilanza e tutela dello Stato. Diversamente, in Toscana, Veneto, nel Mantovano e in Venezia Giulia esse avevano potere di imposizione, ma la legislazione toscana ed austriaca rimetteva agli organi delle comunità il regolamento interno.
Tra la fine dell''800 e l'inizio del '900 le antiche comunità vennero progressivamente trasformandosi, manifestando generalmente la tendenza ad assumere carattere di associazioni private.
La legge Rattazzi prevedeva (art.27) la possibilità di costituire Consorzi delle "Università israelitiche". In forza di ciò, tra il 1909 e il 1914 venne costituito un "Comitato delle Università israelitiche italiane, composto da 11 membri eletti dai delegati delle comunità, le quali dovevano versare al Comitato un contributo in proporzione agli iscritti. Nel maggio 1914 un successivo Congresso tenutosi a Roma approvò lo "Statuto del Consorzio delle Università e Comunità israelitiche italiane".
Con l'avvento del fascismo la riorganizzazione delle istituzioni comunitarie ebbe un ruolo importante nel quadro della politica fascista nei confronti degli ebrei.
Il Regio decreto 30 ottobre 1930, n.1731, cosiddetta Legge Falco, "sulle comunità israelitiche e sulla Unione delle comunità medesime" ed il successivo regolamento di applicazione del 19 dicembre 1931, n. 1561 sottoponeva all'autorità dello Stato tutte le forme di attività, specie quelle a base collettiva. La normativa dava a tutte le Comunità e Università israelitiche il carattere di enti di diritto pubblico, accentuava i poteri direttivi e diminuiva la rappresentatività dei Consigli, inaspriva la vigilanza e la tutela governativa sia in riferimento alle singole Comunità che all'Unione delle Comunità, istituita in sostituzione del precedente Consorzio. Risultava irrilevante, ai fini della creazione o soppressione delle comunità, la volontà degli interessati, erano rigidamente regolate le iscrizioni e cancellazioni, veniva esteso l'obbligo del contributo, che escludeva ogni criterio di progressività, sottoponeva all'approvazione (sempre revocabile) del Ministro dell'Interno l'elezione del Presidente e la nomina del Rabbino-capo. Cambiò anche la denominazione: da Università a Comunità israelitica.

Con la Repubblica, la legislazione sulle Comunità ebraiche apparve presto inconciliabile con il complesso delle norme costituzionali in materia di libertà religiosa individuale e collettiva.
Nel corso degli anni la legge subì pertanto alcune importanti modifiche. Alcune modifiche della legge 1731 del 1930, di ordine generale e non direttamente legate all'amministrazione interna delle comunità, si affermarono per mezzo di sentenze, che interessavano per altro tutte le confessioni minoritarie.
Solo però nel 1987 fu approvato il testo dell'Intesa tra la Repubblica Italiana e l’Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (UCII), ratificata con la legge dell'8 marzo 1989 n.101.
Il nuovo Statuto muta il nome delle Comunità da "israelitiche", in "ebraiche" e, conseguentemente, quello dell'Unione delle Comunità israelitiche in Unione delle Comunità ebraiche e riconosce nelle Comunità ebraiche le "istituzioni tradizionali dell'ebraismo in Italia ... formazioni sociali originarie, organizzate secondo la legge e la tradizione ebraiche" e stabilisce l'iscrizione alle Comunità "con esplicita dichiarazione" o la fa derivare "da atti concludenti" (art. 1. c.1).

Le istituzione ebraiche in Piemonte

Fra il dicembre 1798 e il gennaio 1799 i Francesi instaurarono un governo provvisorio nel Regno di Sardegna importandovi, tra le altre cose, il riconoscimento dei diritti civili e politici di tutti i cittadini indipendentemente dalla fede religiosa. Questa svolta così importante per l’ebraismo subalpino viene generalmente definita “prima emancipazione”: uno degli effetti principali fu la possibilità per gli ebrei di lasciare il ghetto. Tuttavia con la Restaurazione, Vittorio Emanuele I, pur riaffermando nelle sue Regie Patenti del 1816 molti diritti acquisiti dagli ebrei in età napoleonica, ordinò il rientro nel ghetto.
Nel corso dell’Ottocento, fino allo Statuto albertino del 1848 (la cosiddetta “seconda emancipazione”), le comunità (“università” fino al 1930) israelitiche italiane erano corporazioni di diritto pubblico organizzate secondo propri regolamenti e facevano capo a istituzioni chiamate “Concistori”. L’ordinamento in Concistori, specchio del sistema dipartimentale francese, era stato esteso a numerose regioni d’Italia da Napoleone; in particolare, in Piemonte e Liguria l’ordinamento concistoriale fu ufficialmente imposto con decreto imperiale dell’11 dicembre 1808. In Piemonte si costituirono due Concistori, uno con sede a Torino (Torino, Saluzzo, Cuneo, Savigliano, Chieri, Carmagnola, Cherasco, Fossano) e l’altra con sede a Casale Monferrato (Casale, Alessandria, Acqui Terme, Moncalvo, Asti, Biella, Vercelli, Trino, Nizza Monferrato, Ivrea e Genova). In ogni dipartimento veniva dunque creato un Concistoro, composto da un gran rabbino, un rabbino e tre notabili di nomina elettiva.
Nel 1815 venne costituita in Piemonte, in alternativa al sistema concistoriale, un’unica “Commissione israelitica” che provvedeva alle necessità degli ebrei piemontesi e ripartiva fra essi le spese; dalla Commissione dipendevano le quattro università maggiori di Torino, Casale, Alessandria e Nizza cui erano a loro volta soggette tutte le altre università. Al loro interno le “università israelitiche” erano rette da un anziano, un vice-anziano e da un Consiglio, nominati dall’intendente generale sulla base di liste proposte da una commissione della stessa università, eletta dai maggiori contribuenti; il Consiglio si rinnovava di un terzo ogni anno. Un decreto dell’Intendente generale dell’aprile 1816 stabilì che in tutte le città piemontesi dove esisteva una sinagoga si creasse un’amministrazione nominata dalla Commissione e soggetta alle sue direttive.
L’esistenza di potenti organi sovracomunitari e di comunità “maggiori” dotate di una posizione di supremazia non era tuttavia apprezzata dalle comunità considerate “minori”; il vivace dibattito che portò alla nascita della Legge Rattazzi fu incentrato soprattutto su questo problema. Fonte di grande insoddisfazione era pure il sistema di tassazione e frequenti erano i ricorsi dei contribuenti, sia in relazione all’ammontare della tassa (non meno di 40 lire annue), sia in relazione al domicilio. Soprattutto in seguito all’emancipazione del 1848 numerose voci si levarono perché si creasse un sistema più efficace e, soprattutto, equo nella ripartizione dei tributi. Il governo affidò dunque proprio “all’università” di Torino un progetto di regolamento economico-amministrativo per gli ebrei di tutto lo Stato. Con vicende alterne e numerosi dissidi si giunse infine, nel 1856, ad un accordo fra le comunità su come si dovesse intendere l’organizzazione comunitaria e sovracomunitaria; il progetto prevedeva la scomparsa sia di una direzione centrale (sostituita da un’Assemblea periodica generale dei delegati di tutte le comunità), sia della distinzione fra comunità maggiori e comunità minori.
Su queste premesse fu emanata la Legge n. 2325 del 4 luglio 1857 (detta “Rattazzi” dal ministro che ne stilò il progetto), accompagnata da un regolamento “per l’amministrazione e contabilità delle università israelitiche” (n. 2326).
Con l’introduzione della Legge n.1159 del 1930 (Legge Falco) l’assetto istituzionale delle comunità ebraiche piemontesi seguirà quello del resto d’Italia.
Nel corso del Novecento molte comunità si estinsero o persero la propria autonomia aggregandosi a quelle più grandi, fino all’assetto attuale che vede tre comunità autonome attive: Torino, Casale Monferrato, Vercelli.